E se spuntasse all’improvviso in casa di una nonna, mamma zia o parente un vecchio buono fruttifero in lire? Poste italiane sarebbe costretto a rimborsarlo? Scopriamolo
I buoni fruttiferi postali sono ancora oggi una delle principali forme di investimento degli italiani cauti che preferiscono monetizzare ma senza eccessi particolari, ossia senza mettere assolutamente a rischio il proprio capitale. L’intento è semplicemente accantonare dei risparmi, magari un tesoretto nel frattempo venuto su grazie a lungimiranza e buonsenso, e vederli valorizzati e non deprezzati nel corso del tempo. Un’abitudine che abbiamo preso dai nostri avi, perché è già dalle generazioni precedenti che tale procedura è stata avviata regalando anche gioie non indifferenti ai fortunati che hanno raccolto ricchi frutti in determinati periodi storici di riferimento.
Un tempo ovviamente venivano pagati in lire, oggi in euro: ma cosa accade a chi dovesse avere ancora delle situazioni in corso che risalgono al periodo della lira e dunque pre-2002 prima dell’ingresso della moneta continentale unica? Vi sarebbe possibilità di rimborso in questi casi? Del resto non sarebbe troppo da sorprendersi se, pulendo la casa di una persona anziana, dovesse spuntare una documento del genere dove verrebbe certificata l’investimento di una somma risalente ad anni e anni fa.
Anche perché a differenza di oggi che esiste anche la versione dematerializzata, un tempo – logicamente – vi era solo un metodo per tali procedure: quella cartacea. Pur essendoci i computer e i primi accenni di tecnologia oggi comuni e scontati, mancava internet e l’iper-connessione di oggi e la sua banca dati potenziale. Quindi per certificare un qualcosa serviva unicamente o specialmente il famoso pezzo di carta. E se questo dovesse rispuntare all’improvviso un giorno fuori? Sarebbe ormai nulla oppure potrebbe regalarvi una grossa somma?
In teoria, partendo dal regolamento di base, non potrebbe più elargire la somma dovuta e semplicemente per un motivo: sono andati in prescrizione. Superata la data scadenza, infatti, c’è tempo fino a 10 anni per reclamare le cifre e ottenerla senza alcuna difficoltà: successivamente queste vanno nelle casse dello Stato, perdute per sempre. Ma… ci sono delle eccezioni. Alcuni casi giuridici hanno infatti determinato che un buono fruttifero spettasse comunque al titolare o erede di turno, anche diversi decenni dopo e nonostante la scadenza e sono riusciti ad ottenere delle somme.
Ma è chiaro che ogni storia è a sé e bisognerebbe capire i dettagli, le date e i vincoli contrattuali di allora – che potrebbero essere diversi dagli attuali, con diverse zone grigie dove inserirsi – per comprendere meglio le dinamiche. Di sicuro se si dovesse trovare davvero un prodotto del genere, una consulenza con un legale esperto di tale settore è sempre fortemente consigliata: non si può mai sapere. Chissà che il comodino pieno di polvere o l’armadio che non si apriva da chissà quanto non vi possa regalare una gioia inaspettata.
Tale problema della scadenza in ogni caso, con la nuova era digitale, non ci sarà più comunque verrà parzialmente risolto: sebbene esistano ancora oggi i buoni in versione cartacea, i dematerializzati – ovvero quelli in formato digitale – hanno sì scadenza ma dal giorno dopo tale data vengono automaticamente accreditati sul conto corrente del titolare. Significa che non vi è mai il rischio in questi casi di perdere i soldi: problema questo che all’indomani, con questa modalità, non esisterà più. Potrebbero ritrovarsi in una condizione simile solo chi ancora opterà per la versione materiale.
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