In caso di debiti eccessivi può l’AdE rivalersi sul TFR? Se sì, quali sono i limiti e le procedure di pignoramento? Rispondiamo a queste e altre domande.
Capita molto spesso, molto di più di quanto si possa immaginare, di ritrovarsi nella propria vita in debito con il Fisco. Lo Stato diventa nostro creditore e avvia attraverso l’Agenzia delle Entrate e Riscossione tutte quelle che sono le operazioni ed opzioni possibili affinché le casse statali rientrino del debito, tanto più se parliamo di somme cospicue.
Nella maggior parte dei casi, il cittadino debitore e l’Agenzia delle Entrate trovano un accordo per cui il primo restituisce il debito formato attraverso un piano di rateizzazione. Nei casi più estremi, invece, il cittadino si rifiuta (o in alcuni casi è impossibilitato) di pagare non rispetta senza motivi plausibili la rateizzazione e quindi, l’AdE passa, diciamo così, alle maniere forti ovvero al pignoramento dei beni del debitore. Tra questi beni potrebbe esserci anche il TFR ovvero la buona uscita, quella somma di denaro che il datore di lavoro deve mettere da parte di anno in anno e che viene elargita al lavoratore nel momento in cui il rapporto lavorativo cessa di esistere.
Questa somma può arrivare anche a cifre molto importanti se lo stipendio è stato alto e se il rapporto di lavoro è durato tanti anni -senza contare che anche il TFR subisce la rivalutazione annuale volta a contrastare gli effetti dell’inflazione-. Trattandosi, quindi, di somme importanti ci si potrebbe chiedere se l’AdE può attingere direttamente a questa e quindi pignorarla del tutto per risanare il debito; in realtà, per quanto sia un’opzione fattibile, non è poi un’operazione così semplice.
Pignoramento del TFR, come può davvero procedere l’AdE
Il TFR può essere pignorato? Sì, l’Agenzia delle Entrate può attingere a questa somma per rientrare del debito, ma ci sono molti paletti. Intanto, essendo il TFR una somma elargita a fine rapporto lavorativo, l’AdE non può rifarsi su questa quando sta maturando ovvero negli anni di lavoro.
Ovviamente la situazione cambia nel momento in cui il rapporto di lavoro non è più in essere e il TFR è disponibile; in questo caso l’Agenzia può andare a pignorarlo qualora ci fosse già un pignoramento in atto sullo stipendio. Di solito, in casi del genere, il creditore userà la formula del pignoramento presso terzi, cioè si rivolgerà direttamente ad datore di lavoro per ottenere la somma.
In altri casi, il debito può sorgere successivamente e indipendentemente da un pignoramento dello stipendio, il creditore può rivalersi sul TFR, sia rivolgendosi al datore di lavoro se non lo ha ancora versato all’ex lavoratore, sia contro il debitore stesso qualora l’accredito sia già avvenuto.
Visto e considerato che, quindi, il TFR può essere pignorato non resta che chiedersi in che percentuale l’AdE può rivalersi su di esso.
La percentuale di TFR che può essere pignorata
L’Agenzia delle Entrate non può prendersi tutto il TFR in una sola volta, ma anzi questo può essere pignorato nella misura in cui è prevista per lo stipendio ossia per 1/5. Va, inoltre ricordato, che rispetto ai creditori privati l’AdE è un ente pubblico ragion per cui deve sottostare anche altre percentuali limite che sono:
- 1/10 per stipendi e quindi TFR fino a 2.500 euro;
- 1/7 per stipendi e TFR compresi tra 2.500 e 5mila euro;
- 1/5 per stipendi e TFR superiore a 5mila euro.
Solo nel caso in cui ci fossero altri crediti simultanei, compresi quelli verso i privati, e tra questi ci fossero anche quelli alimentari allora la liquidazione potrebbe essere pignorata fino alla metà.