Il rinnovo dei contratti ha apportato dei miglioramenti, ma il reddito dei lavoratori è cresciuto realmente?
La stagione dei rinnovi contrattuali sta per aprirsi dopo la pausa estiva e il tema si annuncia già molto caldo, soprattutto per quanto riguarda i dipendenti del pubblico impiego. I primi ad attendere novità sono proprio i lavoratori ministeriali, che attendono di verificare le cifre inserite nella prossima Legge di Bilancio.
Quello dei ministeriali rappresenta in qualche modo un contratto apripista per gli altri del comparto pubblico, con aumenti passati che hanno aiutato a recuperare la perdita del potere d’acquisto degli stipendi determinata dalla fiammata inflazionistica del 2022-23. Ma altri contratti sono scaduti e restano in attesa, per esempio quelli dei tessili e del trasporto su strada. In totale i lavoratori che aspettano il rinnovo contrattuale sono circa 4,7 milioni.
Rinnovo dei contratti, gli effetti sui redditi
I risultati dei rinnovi fin qui avuti è stato certamente positivo con una nuova spinta ai consumi, dopo anni di tagli alle spese. Ma i redditi erosi duramente dall’inflazione non hanno recuperato lo stesso potere d’acquisto precedente il biennio 2022-23. Un aiuto determinante lo dà anche la ripresa dell’occupazione con una spinta in più all’economia, in fase di domanda.
Tuttavia come accenato i grandi contratti nazionali in attesa di rinnovo sono circa 34, per quasi cinque milioni di lavoratori. Gli aumenti complessivi dei rinnovi di alcuni contratti hanno inciso molto sul reddito da lavoro dipendente prodotto, al lordo di fisco e contributi. Pro-capite si parla di circa 3.300 euro lordi nel biennio trascorso, un incremento che non permette però un recupero totale dopo la fiammata inflazionistica.
Gli aumenti contrattuali infatti devono subire il peso del fisco e dei contributi sociali, oltre che servire a ricostituire le riserve e il risparmio perso negli ultimi difficili due anni. Le famiglie ricominciano a risparmiare quindi e spendono con prudenza. A questo si uniscono le difficoltà determinate dagli alti tassi di interesse sul credito per consumatori e imprese. Questa delinea una situazione particolare di attesa e immobilità.
Secondo Confesercenti una prima risposta potrebbe arrivare dalla detassazione degli aumenti retributivi, derivanti dai rinnovi contrattuali. Lo scopo frenare i contratti pirata (che tagliano istituti indiretti e welfare, costando meno alle aziende), facendo emergere l‘elusione fiscale e contributiva (che investe circa il 30 per cento dei contratti di lavoro). La detassazione poi darebbe nuova liquidità per le famiglie per i consumi con un significativo aumento del PIL.
Altro cambiamento atteso un’inversione decisa della politica monetaria della Banca Centrale Europea (BCE) con una chiara riduzione dei tassi di interesse. Questa potrebbe essere la spinta definitiva per la ripresa del mercato interno. A settembre arriveranno le decisioni della BCE sui tassi e un loro taglio è auspicato da tutto il mondo produttivo, per rafforzare la ripresa economica nel continente.