Geopolitica ed elezioni fanno tremare i mercati internazionali
Il 2024 rischia di essere un anno molto difficile per i mercati finanziari. Le ragioni però potrebbero avere poco a che fare con l’economia in sé e molto di più con fattori politici e geopolitici. Con due conflitti in corso a rischio di espansione e altri che rischiano di cominciare, la guerra sta diventando un fattore con cui le Borse di tutto il mondo devono fare i conti. Il 2024 sarà però anche un anno di grandi elezioni, su tutte quelle di novembre per la presidenza degli Stati Uniti.
La pandemia da Covid-19 e la guerra in Ucraina hanno incrinato i rapporti multilaterali che avevano caratterizzato il primo ventennio del secolo. Dopo due decenni di grandi meeting in cui tutti i potenti della terra si parlavano, risolvendo le tensioni in contesti politici, sono tornate le tensioni e i conflitti. A preoccupare i mercati più di altri scenari è l’evoluzione della guerra tra Hamas e Israele.
Scoppiata nel contesto di uno degli scenari geopolitici più complessi dell’ultimo secolo, la guerra tra Israele e il gruppo militare che controlla la Striscia di Gaza nasconde tensioni più recenti. Buona parte degli analisti sostiene che dietro al finanziamento di Hamas ci sia infatti l’Iran, che da anni si contende l’egemonia nel Medio Oriente con un’altra potenza regionale che lega la sua ricchezza ai propri giacimenti di petrolio: l’Arabia Saudita.
Parte di queste tensioni derivano anche dall’isolamento internazionale che l’Iran ha subito fin dagli anni ’70, quando la rivoluzione islamica cacciò lo Shah e impose il regime degli Ayatollah. Un’isolamento che il presidente degli USA Bark Obama tentò di rompere con l’accordo sul nucleare del 2015. L’Iran garantiva la smilitarizzazione del proprio programma nucleare. In cambio otteneva il sollevamento di alcune sanzioni. L’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca però fece saltare l’accordo e Teheran finì con lo spostarsi verso un governo più estremista.
Anche per questa ragione, molti analisti temono che la guerra in Medio Oriente possa espandersi anche ad altri Paesi arabi. Il primo indiziato è il Libano, dove il gruppo Hezbollah, anch’esso sostenuto dall’Iran, ha accumulato potere. In particolare controlla le regioni meridionali e potrebbe attaccare Israele in maniera simile a quanto fatto da Hamas stessa il 7 ottobre scorso.
Un’espansione del conflitto rischia di bloccare alcuni dei passaggi navali più importanti al mondo. In particolare si teme che l’Iran possa bloccare lo stretto di Hormuz, tramite il quale si accede al Golfo Persico e da cui passa il 20% del petrolio mondiale. Altro timore è quello di una crisi attorno allo stretto di Bad el-Mandeb, che collega il Mar Rosso e di conseguenza il Canale di Suez all’Oceano Indiano e sul quale ha parziale controllo lo Yemen, in cui è da anni in corso una guerra civile per procura tra lo Stato sostenuto dall’Arabia Saudita e i ribelli Huthi finanziati dall’Iran.
Il medio oriente non è però l’unico scenario a rischio escalation. I mercati finanziari infatti temono che la Cina possa in tempi brevi tentare di riconquistare Taiwan. L’isola dove si rifugiò il governo nazionalista alla fine della guerra civile nel 1949 ha negli anni sviluppato una propria coscienza nazionale lontana da quella cinese. Per molti anni l’idea maggioritaria nella popolazione era quella della riunificazione con Pechino, la cosiddetta soluzione “Una Sola Cina”. Oggi però gli abitanti puntano di più verso l’indipendenza.
Pur non essendo uno Stato riconosciuto, Taiwan ha il sostegno per quanto riguarda la propria sicurezza nazionale degli Stati Uniti. L’isola è riuscita infatti a diventare un centro focale per l’economia mondiale con un investimento particolarmente azzeccato, quello sui semiconduttori. A Taipei ha infatti sede TSMC, una delle più grandi e longeve aziende di microchip al mondo. Attraverso Taiwan passa il 60% della catena di forniture di questi preziosissimi manufatti, tramite i quali funziona pressoché qualsiasi oggetto tecnologico, dai computer alle automobili. Un aumento delle tensioni con la Cina, che portasse anche soltanto ad un blocco navale delle esportazioni da Taiwan, farebbe cadere il mondo in una crisi economica profondissima, con perdite del PIL che gli esperti misurano attorno al 20% a livello globale.
A Taiwan si incrociano sia le tensioni geopolitiche che quelle politiche, perché il prossimo anno si terranno sull’isola delle importantissime elezioni. A sfidarsi sono lo storico partito unionista, il Kuomintang che ha governato l’isola per decenni dopo la fine della dittatura, e il Partito Democratico Progressista, indipendentista che guida l’isola dal diversi anni. Entrambe le opzioni potrebbero finire per destabilizzare l’equilibrio fragile sul quale si regge l’intera situazione di Taiwan. Se il Kuomintang vincesse, gli Stati Uniti potrebbero cambiare il loro atteggiamento diplomatico nei confronti di Taipei. Al contrario, se dovesse prevalere ancora una volta il Partito Democratico Progressista, Pechino vedrebbe sparire l’ennesima possibilità di riavvicinare l’”Isola Ribelle” alla propria influenza politica, aumentando il rischio di uno sfogo militare delle tensioni.
Ancora più importanti delle elezioni a Taiwan saranno le presidenziali americane. La corsa alla Casa Bianca dovrebbe vedere nuovamente la sfida tra Joe Biden, questa volta presidente uscente, e Donald Trump. Nonostante i processi in corso, il miliardario non sembra aver perso popolarità e sta trattando con sdegno le primarie del Partito Repubblicano. Rifiutandosi di partecipare ai dibattiti pubblici, Trump si mantiene al di sopra dei propri sfidanti e la base sembra preferirlo a chiunque altro.
D’altra parte i Democratici sembrano avere due grossi vantaggi. Uno è il cosiddetto “Incumbant Advantage”, la tendenza dei presidenti uscenti ad essere rieletti dopo il primo mandato. L’altro è una serie di vittorie elettorali, ottenute soprattutto sull’onda della campagna per ristabilire il diritto all’aborto a livello federale. La Corte Suprema ha infatti rimosso l’unica garanzia in questo senso lo scorso anno.
È però un’eventuale vittoria di Trump a spaventare i mercati più di qualsiasi altra cosa. Il ritorno alla casa bianca del miliardario potrebbe far cadere la più grande potenza mondiale nel caos. In particolare dopo il tentativo di colpo di stato del 6 Gennaio 2021.
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