Riprendono le discussioni sulle pensioni. Si affacciano delle ipotesi per la previdenza complementare da parte del governo.
Siamo ormai al termine della pausa estiva anche per l’esecutivo che a breve riprenderà i suoi lavori. Tra i temi scottanti e al centro del dibattitto quello connesso alle pensioni che inevitabilmente entrerà nelle pagine della prossima Legge di Bilancio. Le discussioni sono centrate sul destino di alcune prestazioni previdenziali in bilico.
In particolare, Quota 103, Opzione donna e l’Ape sociale sono al centro dell’attenzione e non è certo che siano prorogate anche per il prossimo anno. Sarà fondamentale la verifica delle risorse finanziarie a disposizione per decidere cosa fare di queste misure. Ma i temi intorno alle pensioni non si esauriscono qui. Di scottante attualità la questione della previdenza complementare, soprattutto per i lavoratori più giovani.
Una delle ipotesi emerse in questo giorni è quella avanzata dal sottosegretario del Lavoro e delle Politiche sociali Claudio Durigon. Questi propone di destinare una parte del TFR (Trattamento di fine rapporto) direttamente alla previdenza complementare, a meno che il lavoratore non si esprima chiaramente per il contrario.
La quota da assegnare alla previdenza integrativa sarebbe pari al 25 per cento del TFR, attraverso un meccanismo di silenzio assenso, della durata di circa sei mesi. la proposta sarà in discussione fin dai primi giorni del prossimo mese, trovando l’attenzione del ministro del Lavoro Elvira Calderone. L’esponente del governo ha dichiarato la necessità di riflettere sul tema della previdenza complementare, seconda gamba del sistema pensionistico.
Si parla quindi della riapertura di un semestre di silenzio assenso, periodo nel quale i lavoratori sarebbero chiamati a esprimersi sulla quota da destinare alla pensione integrativa. Non si tratterebbe di una novità, visto che già nel primo semestre del 2006, i lavoratori furono chiamati a esprimersi. Anche in quell’occasione con il silenzio assenso si passava una quota di TFR ai fondi previdenziali.
A essere interessati alle novità soprattutto i giovani lavoratori, con una crescita percentuale delle giovani generazione sul totale degli iscritti ai Fondi pensionistici. A versare più contributi sono i dipendenti, che beneficiano delle quote di TFR, a differenza degli autonomi che versano meno. Le difficoltà maggiori nella contribuzione la hanno i giovani con carriere instabili e retribuzioni più basse.
Il silenzio assenso non cambierebbe molto per i conti pubblici, ma ci potrebbero essere problemi per le aziende con meno di 50 dipendenti. Infatti in questa tipologia di imprese, la trattenute del TFR per i dipendenti che hanno optato per la pensione pubblica, è una risorsa finanziaria importante. Invece per le aziende con oltre 50 dipendenti, non ci sono problemi, il TFR è già trasferito automaticamente all’INPS.
Resta il problema dei percorsi lavorativi, come riconosciuto da più parti, perché l’allargamento delle adesioni alla previdenza complementare non risolve il problema. Chi ha retribuzioni basse e contratti discontinui, è destinato a pensioni bassissime con il sistema contributivo puro.
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