Pensioni, differenza mortificante tra gli assegni previdenziali per uomini e quelli per le donne: lo confermano i nuovi dati INPS che mettono a nudo un grosso problema sociale
La disparità salariale tra uomini e donne continua a tenere banco nel tessuto economico e sociale mondiale e in particolare in Italia, perché nel Bel Paese, nonostante i progressi innegabili e compiuti in questi anni per quanto riguarda la parità di genere, esiste ancora una differenza evidente tra due stessi lavoratori con uguali capacità ma con appena il sesso differente a sfavore delle donne. E la proiezione degli esperti indica che tale scenario si prolungherà ancora per molto nel corso dei prossimi anni.
L’equità salariale dovrebbe essere un principio fondamentale di ogni società sana e moderna, ma ancora oggi, praticamente in tutto il mondo, molte donne continuano a percepire retribuzioni inferiori rispetto ai loro colleghi uomini per il medesimo lavoro svolto. Non è questione di gerarchia o merito, almeno non sempre: in tantissimi casi la sola differenza determina una maggiorazione netta, spesso anche mortificante, per uno piuttosto che un altro. Una situazione che alla lunga, inevitabilmente, ricade anche sui discorsi pensionistici.
Come evidenziato dai dati resi noti dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, nel corso del 2023 gli assegni previdenziali per le donne si sono attestati in media attorno ai 950 euro, registrando un calo rispetto ai 963 euro del 2022. Una discesa non solo preoccupante ma che evidenzia anche una differenza del 30,45% circa con gli uomini che, invece, possono contare su un importo mensile superiore di circa 400 euro. Ovvero 1350 euro mensili.
La disparità di genere inoltre si riflette anche nelle pensioni anticipate. Le nuove erogazioni mostrano importi di 1.758 euro al mese per le donne, mentre gli uomini godono di assegni più consistenti ovvero pari a 2.111 euro. Discrepanza che persiste anche per le pensioni di vecchiaia, dove il pubblico femminile percepisce in media 758 euro al mese e gli uomini all’incirca 1.071 euro. Insomma: su qualsiasi fronte si voglia scrutare tale dato, la differenza è sempre netta e mortificante.
Tale divario, come dicevamo, è dovuto a gender pay gap durante gli anni lavorativi, ovvero la differenza salariale. Non solo una disparità che spesso persiste per gli stessi ruoli, ma in generale tale quadro si crea anche per le discriminazioni retributive dovute anche a una minore accessibilità a posizioni di leadership ben remunerate per quanto riguarda le signore seppur preparate e qualificate. Molte donne, inoltre, si trovano ad occupare posizioni in settori tradizionalmente meno retribuiti rispetto a quelli prevalentemente maschili ed è così che si completa il quadro.
Senza dimenticare ovviamente le interruzioni di carriera legate alla maternità. Le donne, infatti, sono state e sono ancora oggi spesso costrette a interrompere o ridurre la loro partecipazione al mercato del lavoro per svolgere il neo ruolo di madre, riducendo così il numero di anni di contributi previdenziali. Una situazione a cui moderni interventi come il bonus nido, congedo parentale e altre misure esistenti stanno provando man mano a ridurre.
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