Se lavori e al contempo percepisci la pensione, l’aliquota si sommerà per i due redditi: devi assolutamente conoscere questo modo per pagare meno tasse.
Pur dovendo rispettare alcune condizioni, l’Italia consente di accumulare il reddito da lavoro al reddito da pensione. Tuttavia, in fase di dichiarazione dei redditi, le due entrate economiche si sommano, concorrendo a formare un’unica base imponibile. E’ probabilmente questo il più grande svantaggio del rientrare in attività dopo aver concluso il proprio percorso lavorativo ed essere andati in pensione. Per contrastare questo aspetto negativo, ci sono delle soluzioni che è utile conoscere.
Se si ritiene che lavorare dopo la pensione non sia conveniente perché si finisce a pagare troppe tasse, è giunta l’ora di smentire questa credenza. Indubbiamente, la somma dei due redditi comporta il versamento di importi d’imposta più elevati, poiché si scivola nello scaglione Irpef successivo. Ciò non rende vano lo sforzo compiuto nel rimettersi in gioco anche durante la terza età: c’è una soluzione per rendere l’opzione più attrattiva.
Lavorare dopo la pensione: come pagare meno tasse
Facciamo un esempio per comprendere meglio la situazione: qualora un pensionato guadagnasse 25.000 euro lordi l’anno e poi prendesse un reddito da dipendente pari a 23.000 euro lordi l’anno, finirebbe per pagare l’Irpef su una base imponibile di 48.000 euro. Questo significa che verserà il 23% sui primi 28.000 euro, pari a 6440 euro, e il 35% sui redditi compresi tra 28.000 e 48.000 euro, quindi 7000 euro. Il reddito netto che ne rimarrebbe equivale a 34.560 euro.
C’è una soluzione che può alleggerire il peso di questa mole di tasse da pagare. Se il pensionato, invece di guadagnare con un lavoro da dipendente, guadagnasse attraverso una Partita Iva con regime forfettario, la tassazione sarebbe molto più conveniente. Sul reddito della pensione, quindi sui 25.000 euro, il pensionato pagherebbe comunque l’Irpef con l’aliquota del 23%, mentre sul reddito generato da lavoro autonomo con regime forfettario pagherebbe un’imposta sostitutiva all’Irpef, quindi i due redditi non andrebbero a cumularsi. In questo caso, sui 23.000 euro fatturati con Partita Iva, si pagherebbe il 5% di tasse su un coefficiente di redditività che varia dal 40% al 78% in base all’attività svolta. Significa che, nella peggiore delle ipotesi, si pagheranno le imposte solo sul 78% dei guadagni.
Ne risulterebbe che: sui 23.000 euro lordi, la base imponibile è di 17.940 euro, per la quale si pagherebbe il 5% di tasse, quindi 897 euro. Sulla stessa base consideriamo anche il versamento dei contributi previdenziali: se versati in Gestione Separata, ammontano al 24% per chi è già titolare di pensione. Si parla, dunque, di 4305 euro di contributi. Ragionando in termini di netto sui famosi 48.000 euro, dovremmo togliere il 23% sui primi 28.000 euro, le tasse del lavoro autonomo per il 5% e i contributi. Ne resterebbero 37.040 euro netti, quindi circa 2500 euro in più rispetto alla situazione che vede cumulati il reddito pensionistico e quello da lavoratore dipendente. Guarda anche la riforma Irpef del 2024 e il taglio delle tasse per i cittadini.