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Nuove regole per chi ha lavorato più di 35 anni: il calcolo da conoscere

Lavoro e pensione, quali sono i dettagli del sistema contributivo. Sono sufficienti 35 anni di attività lavorativa per un assegno adeguato?

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Calcolo della pensione, quanto spetta dopo 35 anni di lavoro (codiciateco.it)

Dopo 35 anni di attività lavorativa è possibile pensare alla pensione, ma in che termini? Ricordiamo che per accedere alla pensione di vecchiaia, il trattamento più richiesto nel sistema pensionistico italiano, gli anni di contributi minimi sono venti e l’età anagrafica è di 67 anni, almeno attualmente.

L’attuale sistema di conteggio dell’assegno pensionistico è basato sul metodo contributivo, introdotto dalla legge Dini e successivamente esteso nell’applicazione con la riforma Fornero. Oggi le pensioni sono stimate con il metodo contributivo per la parte successiva al 1° gennaio 1996 o dal 1° gennaio 2012 per quanti alla data del 31 dicembre 1995 avevano già almeno 18 anni di contributi. Ma per un lavoratore che significa in termini di pensione rientrare nel metodo contributivo?

Contributi da 35 anni, cosa comportano

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Rischio pensione bassa con il contributivo (codiciateco.it)

In linea generale il sistema contributivo impone di avere uno stipendio elevato per tutta la durata della propria carriera professionale al fine di garantirsi un trattamento pensionistico adeguato. Incide anche l’età in cui si va in pensione. Infatti il sistema contributivo utilizza un coefficiente di trasformazione per calcolare come retribuzione e anni di lavoro diventano pensione, un coefficiente che aumenta con l’innalzamento dell’età con cui si termina il lavoro.

Quindi di per sé gli anni complessivi di lavoro non determinano un assegno pensionistico elevato. Sono importanti, perché determinano l’ammontare complessivo dei contributi versati, il cosiddetto montante contributivo, ma fondamentale è l’importo della retribuzione percepito. In pratica a stipendi elevati corrispondono molti contributi, mentre con retribuzione basse la contribuzione è ridotta.

Il funzionamento del sistema prevede che durante il lavoro i contributi versati vadano a formare il citato montante contributivo, con una rivalutazione periodica basata sul costo della vita. Il montante diventa pensione mediante l’applicazione del coefficiente di trasformazione che cresce con il salire dell’età con cui si accede al trattamento pensionistico. I coefficienti diventano vantaggiosi man mano che si ritarda la pensione e di conseguenza si allunga il periodo lavorativo.

Alcuni esempi: a 63 anni il coefficiente di trasformazione è del 5,028%, a 67 anni è del 5,723%, a 71 è del 6,655%. Quindi 35 anni di lavoro non garantiscono una pensione elevata. Se la retribuzione è bassa, anche soltanto durante i primi anni di lavoro, molto probabilmente la pensione sarà ridotta. Per esempio una persona con 10 anni di lavoro a 1.000 euro al mese versa complessivamente circa 4.300 euro all’anno che sono 43mila dopo un decennio.

Nei 10 anni successivi lo stipendio arriva a 2mila euro mensili, con altri 88mila euro da sommare al montante contributivo. Infine gli ultimi anni lo stipendio è di 2.500 euro mensili che corrispondono a 160mila euro di contributi da aggiungere alle cifre degli anni precedenti. Dopo 35 anni di lavoro i contributi totali sono circa 300mila con la rivalutazione. Andando in pensione a 67 anni con il trattamento di vecchiaia si applica il coefficiente di 5,723% che corrisponde a un reddito annuo di 17.169 euro.

Questa cifra corrisponde a un assegno mensile di circa 1.300 euro al mese. Molto di meno dello stipendio degli ultimi anni, con una sostanziale riduzione della disponibilità economica e del tenore di vita. Con il sistema precedente, detto retributivo, erano presi in considerazione solo gli ultimi anni di stipendio, a fine carriera. Risultando così molto più favorevole per i lavoratori.  Il sistema contributivo quindi aggrava la posizione dei lavoratori, soprattutto quelli con retribuzione basse e carriere discontinue, che a breve arriveranno all’età della pensione.

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