NASPI, non solo in caso di licenziamento: ci sono eccezioni in cui spetta anche per dimissioni volontarie. Specialmente per le donne. Ecco quando accade e cosa sapere
La NASPI è una misura previdenziale fondamentale per la salvaguardia di un ex lavoratore e della sua famiglia. E’ praticamente un ‘paracadute’, o una ‘rete di salvataggio’ se si preferisce quest’altra metafora, che permette al diretto interessato e alle persone a carico di non sprofondare nel baratro per la perdita improvvisa del lavoro e senza un’alternativa immediata su cui contare. Senza una misura del genere, infatti, si finirebbe praticamente sul lastrico probabilmente già dal mese successivo. E senza possibilità di acquistare nemmeno i beni primari.
La nuova assicurazione sociale per l’impiego quindi – questo il nome intero – è indirizzato a tutelare le persone che si ritroverebbero senza un reddito e senza la possibilità, soprattutto se all’improvviso e non programmato, di vivere in sintesi. Non può esserci nulla di peggio nella vita sul piano finanziario, di perdere tutto e non avere più la possibilità di tutelare anche le persone che si amano come in primis i figli su cui ricadrebbero le prime conseguenze. Uno scenario che al sol pensiero mette i brividi per chi ha famiglia.
La Naspi, però, come detto, permette di evitare tutto questo. Come? Praticamente offrendo al soggetto disoccupato un assegno di disoccupazione dalla durata di due anni massimo entro la quale si prenderà mensilmente quasi lo stesso stipendio percepito fino a quel momento. Esattamente parliamo del 75% per quasi il primo anno, con la percentuale che andrà poi man mano a scalare a ridosso della data di scadenza della misura di sostegno. Tendenzialmente la Naspi spetta solo a chi è licenziato e che dunque perde il lavoro non per sua scelta, ma ci sono delle eccezioni.
Una di queste riguarda le donne, specialmente quelle che stanno per avere un figlio o ne hanno già uno in tenerissima età. In questo caso, infatti, le dimissioni per giusta causa garantiscono alla lavoratrice la possibilità di ottenere tale misura pur se il termine della collaborazione non è voluto dal datore di lavoro. Questa possibilità vale non solo durante i mesi di gestazione, ma anche successivamente ed entro il limite di un anno di età del minore.
Anche altri casi prevedono la Naspi alle donne non licenziate, ma per circostanze purtroppo meno piacevoli rispetto a una gravidanza: parliamo di risoluzione consensuale che avverrebbe per mancato pagamento per difficoltà economiche e non solo dell’azienda, ma anche modifiche lavorative che portano a un peggioramento oggettivo della posizione dell’interessata – ma ritenuto necessario dalla società – o nel caso in cui si parli di molestie sul posto del lavoro. Infine anche nel caso in cui verrebbe imposto un trasferimento in un’altra sede che va oltre i 50km della propria residenza scatterebbe la tutela della Naspi.
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