NASPI bloccata: succede quando non sono rispettati alcuni doveri burocratici non solo dal diretto interessato ma anche dall’ex datore di lavoro. Gli scenari
Tutte le misure INPS sono fondamentali per il fabbisogno economico mensile, ma ce n’è una che probabilmente è vitale più di altre: la NASPI. Tale provvedimento consiste infatti in un assegno di disoccupazione elargito dall’istituto nazionale della previdenza sociale fino a un massimo di due anni, tempo abbondante per riorganizzarsi e non farsi trovare impreparati a fronte di un improvviso licenziamento dovuto per una serie di circostanze. Senza questo qualsiasi lavoratore si ritroverebbe da un momento all’altro per strada e porterebbe con sé tutta la sua famiglia nel caso in cui si trattasse dell’unico reddito o della percentuale più alta.
La nuova prestazione di assicurazione per l’impiego – questo il nome intero della prestazione NASPI – fa dunque da paracadute da una parte e da ponte dall’altra: permette di cadere in piedi, non nel panico più assoluto, e accompagna il soggetto al nuovo percorso occupazionale permettendogli nel frattempo di avere il 75% del suo stipendio medio degli ultimi quattro anni, cifra che andrà poi a calare ulteriormente nel corso dei mesi fino a raggiungere un minimo storico a ridosso della scadenza oltre la quale non sarà possibile rinnovare la misura in caso di mancato nuovo impiego.
A poter beneficiare di tale sostegno sono tutti i lavoratori con contratto determinato o indeterminato, compresi apprendisti, soci lavoratori di cooperative con lavoro subordinato presso le stesse, personale artistico con rapporto subordinato e dipendenti a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni. Chi non può farne richiesta sono invece i dipendenti statali con contratto a tempo indeterminato, gli operai agricoli a tempo indeterminato e determinato e lavoratori extracomunitari con permesso di lavoro stagionale come si evince direttamente dal sito INPS.
Tuttavia, se si rientra tra le figure che possono avere tale concessione, è necessario che siano stati versati almeno 13 settimane di contributi negli ultimi 4 anni antecedenti alla richiesta. Fermo restando che la perdita del posto di lavoro deve essere non volontaria, dunque non tramite dimissioni o risoluzioni contrattuali a meno che – e qui subentra l’eccezione – non sia avvenuto per gravidanza, mancato pagamento della retribuzione, molestie sul posto di lavoro, modifiche peggiorative delle pensioni lavorative, mobbing, cambi di condizioni a causa di cessione dell’attività a un nuovo proprietario o spostamento del dipendente presso un’altra sede con nuovo scenario però difficoltoso per l’ex lavoratore.
Una volta ottenuta la NASPI, ci sono poi alcuni doveri burocratici da rispettare per ottenere la continuità di due anni. E senza questi c’è il rischio che alla lunga il pagamento venga bloccato come già accaduto a molti anche in questo nuovo anno solare: come ad esempio chi non si è presentato presso i centri di impiego pur avendo ricevuto la convocazione o chi non ha sottoscritto il patto di servizio.
C’è uno scenario in cui però anche il datore di lavoro potrebbe, involontariamente o non, bloccare l’erogazione al suo ex dipendente: ovvero quando non viene inviato in tempo il modello Uniemens che comprende tutti i dati relativi ai dipendenti tra cui retribuzioni, contributi e quant’altro. Senza, scatterebbe il blocco del pagamento. E’ raro che accada può accadere. E quando succede sono problemi. Specialmente per chi in attesa di altro dipende da quello’unica fonte economica.
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