I dipendenti nella busta paga ricevono i rimborsi per le spese anticipate, ma c’è il rischio che paghino le tasse? Cosa dice la legge
Le spese che deve affrontare un dipendente che si trova al di fuori della sede indicata nel contratto di lavoro per svolgere le proprie mansioni, sono da considerare indennità di trasferta. Nel corso di essa se il lavoratore deve anticipare personalmente i soldi, ha diritto a un rimborso spese da parte dell’azienda, direttamente in busta paga. I classici esempi di spese rimborsabili sono i costi del carburante, i pedaggi autostradali, il vitto e l’alloggio. Ma questi soldi ricevuti come rimborso, vanno a formare il reddito e dunque fanno aumentare il volume di tasse da pagare?
Rimborsi in busta paga: cosa sapere
Per prima cosa chiariamo cos’è la trasferta di lavoro considerando la circolare ministeriale 207/E/2000. La trasferta di un lavoratore dipendente avviene quando svolge attività lavorativa oltre il territorio comunale della sede principale del datore di lavoro. Dunque bisogna individuare la sede di lavoro di ogni dipendente.
Dal punto di vista fiscale, ci sono tre tipologie di rimborso alternative: il rimborso forfettario, il rimborso a piè di lista o analitico e il sistema misto. È l’azienda che decide quale tipologia adottare. Nel caso del forfettario si fa riferimento al comma 5 dell’articolo 51 del Tuir: stabilisce che il rimborso spese non deve essere considerato nel reddito del dipendente fino a un importo massimo giornaliero di 46,48 euro per le trasferte in Italia e di 77,46 euro per l’estero.
I rimborsi per spese come vitto, alloggio, trasporto e viaggio non concorrono alla formazione del reddito. Per altre spese come la telefonia, la lavanderia e il parcheggio, il limite giornaliero per non farle concorrere al reddito è di 15,49 euro per le trasferte in Italia e di 25,82 euro oltre il confine statale.
L’Agenzia delle Entrate è intervenuta varie volte sulla questione. Per le aziende che adottano il sistema di rimborso analitico bisogna avere la documentazione giustificativa delle spese sostenute per vitto, alloggio, viaggio, trasporto e eventuali altre spese.
L’Agenzia ha confermato che non è necessaria la richiesta di un’autorizzazione preventiva per la trasferta. Infatti secondo la circolare ministeriale188/E/1998, trasferta e spese correlate devono risultare dalla consueta documentazione conservata dal datore di lavoro.
Fondamentale è identificare il luogo di partenza della trasferta del lavoratore. Per fare ciò ovviamente è necessario determinare la sede di lavoro del dipendente che è indicata nel contratto di lavoro. Se su questo non c’è, si fa riferimento all’unità produttiva dell’impresa presso la quale il lavoratore svolge la propria attività lavorativa.
Se mancano altre indicazioni, si considera il domicilio fiscale del dipendente. È però fondamentale, come prevede la risoluzione 92/E/2005 dell’Agenzia, che se il dipendente parte per la trasferta dal proprio domicilio, l’eccedenza di rimborso per il tragitto casa-trasferta concorre alla formazione del reddito.
Ai sensi dell’articolo 95 comma 1 del Tuir, con l’intensificarsi degli ultimi anni dell’attività in smart-working, riguardo alle spese sostenute dai dipendenti che lavorano in tale modalità, l’Agenzia ha confermato che il rimborso delle spese che viene sostenuto per soddisfare un’esigenza legata proprio alle modalità telematiche, sono deducibili ai sensi della suddetta legge.