A conti fatti sono poche le donne che possono usufruirne poiché è molto complicato avere un contratto a tempo indeterminato
Il bonus mamme previsto dall’attuale legge di bilancio consiste in un esonero della contribuzione previdenziale pari al 9,19% della retribuzione, fino a un massimo di 3mila euro anni, per le donne lavoratrici che hanno almeno tre figli; per quest’anno però, in via sperimentale, sarà applicata anche alle madri con due figli. Detto in altri termini, per le donne con figli che lavorano la busta paga sarà un po’ più pesante fino a un massimo di 250 euro in più.
Bonus mamma: cosa sapere
Il tutto funziona in questo modo: l’esonero contributivo è proporzionale al peso dei contributi richiesti; questi sono agganciati in percentuale alla Ral, ossia la retribuzione annua lorda. Chi ha diritto al bonus (sia le lavoratrici nel settore pubblico sia nel privato) da gennaio non vedrà in busta paga la trattenuta dei contributi previdenziali pari al 9,19% della Ral, ossia l’imponibile previdenziale. La misura è valida fino al 2026. Rientra tra i beneficiari anche chi ha un contratto agricolo, in somministrazione e in apprendistato, a tempo indeterminato. Sono invece escluse le lavoratrici domestiche.
Come detto per l’anno in corso, il primo del triennio, in via sperimentale riguarda anche chi ha due figli, fino al compimento del decimo anno di età del più piccolo. L’Inps a gennaio ha pubblicato la circolare applicativa con la quale ha spiegato che le madri in possesso dei requisiti a gennaio 2024 hanno diritto all’esonero dal mese di quel mese. Se il secondo figlio nasce nel corso dell’anno, il riconoscimento del bonus avverrà dal mese di nascita fino al compimento del decimo anno del bambino. Delle novità ci saranno nel 2025 e nel 2026: il beneficio è assegnato solo alle madri con almeno tre figli e si conclude quando il più piccolo avrà raggiunto la maggiore età.
Si legge nella circolare Inps: “Al fine di agevolare l’accesso alla misura in trattazione, le lavoratrici pubbliche e private titolari di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato possono comunicare al loro datore di lavoro la volontà di avvalersi dell’esonero in argomento, rendendo noti al medesimo datore di lavoro il numero dei figli e i codici fiscali di due o tre figli”.
Tale misura ha comunque ricevuto delle critiche. Il fine è ovviamente favorire la natalità ma in Italia resta il problema che sono poche le donne che hanno un contratto a tempo indeterminato e solitamente lo si ottiene anche dopo i 30-35 anni, età in cui non tutte decidono di mettere al mondo tre figli.