Assegno di inclusione, un rapporto della Commissione Europea boccia la prestazione. Aumenta il rischio di povertà.
L’Assegno di inclusione, una delle prestazioni introdotte dal governo Meloni al posto del Reddito di cittadinanza, insieme al Supporto per la formazione e il lavoro, rimane al centro del dibattito, non solo in Italia. Un recente rapporto della Direzione generale per l’Occupazione, gli Affari sociali e l’Inclusione della Commissione Europea ha espresso pareri negativi sulla prestazione e sui suoi effetti.
Come riportato dagli organi di informazione, il rapporto esamina vari punti oltre all’Assegno di inclusione: il lavoro povero, i livelli retributivi, lo stato dell’occupazione e appunto le misure contro la povertà. I giudizi della Commissione Europea sono stati commentati dal ministero del Lavoro che ha difeso l’applicazione della prestazione e i risultati che ha contribuito a raggiungere.
Al centro dello studio sulla prestazione ci sono i nuovi requisiti imposti per l’accesso alla prestazione. Questi, nonostante le politiche di accompagnamento al lavoro, “ridurranno l’impatto di riduzione della povertà della nuova misura“. Da questo punto di vista il Reddito di Cittadinanza appariva più efficace. Mentre l’Assegno di inclusione di fatto scarta diverse categorie di richiedenti, per i quali al massimo resta il Supporto per formazione e il lavoro.
Questo è erogabile solo per 12 mesi non rinnovabili, con un contributo di 350 euro al mese per la frequenza a politiche di avvicinamento al lavoro. Secondo le stime del rapporto europeo le famiglie beneficiarie diminuiranno del 40 per cento rispetto al Reddito di cittadinanza. La stretta sui nuovi requisiti non viene bilanciata dalla possibilità di cumulare Assegno di inclusione con l’Assegno unico e universale per la prole a carico.
Nel giudizio della Commissione dunque, il pericolo è un aumento della povertà assoluta e di quella infantile rispetto alla precedente misura. La replica italiana non si è fatta attendere, commentando che il rapporto è basato su un’analisi statica dei dati. Non tiene conto, nel giudizio del ministero italiano, dell’attivazione generale verso il lavoro e dell’aumento di occupazione nel Paese. Uno studio parziale, mentre un approccio complessivo produrrebbe giudizi più positivi.
Il report della Direzione generale per l’occupazione, gli affari sociali e l’inclusione ha toccato altri punti a cominciare dal rischio povertà in Italia. Questa risulta in salita con l’esposizione maggiore per le famiglie con prole e per i bambini, in particolare. La povertà aumenta anche tra i lavoratori alle prese con salari che crescono troppo lentamente, soprattutto tra chi ha contratti atipici e tempo determinato. Per questi lavoratori nonostante l’occupazione, il rischio povertà è più alto rispetto all’Unione Europea.
Prevalgono lavori poco retribuiti e discontinui e questo spiega come nonostante la ripresa occupazionale dopo la pandemia, la povertà non sia diminuita in maniera convincente. L’occupazione generale resta più bassa rispetto alla media europea, anche con gli ultimi incrementi registrati nel Paese. In particolare, il tasso di lavoro femminile resta tra i più esigui d’Europa, soprattutto al Sud e nelle Isole.
Occupazione bassa anche per i giovani tra i 25 e i 34 anni e anche qui è il Sud a mostrare i numeri peggiori. Così come cresce nelle regioni meridionali il numero dei giovani che non studiano, non lavorano, non si formano con percentuale tra le più alte del continente.
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