Se ti sei ritrovato costretto a doverti licenziare a causa di una malattia invalidante, capiamo se la legge prevede un’eccezione e concede la Naspi.
Può accadere, seppur in casi abbastanza estremi, che un lavoratore si ritrovi costretto a dare le dimissioni a causa di una malattia invalidante. Cosa prevede la legge in questo caso? Capiamo se l’ex dipendente può avanzare la richiesta dell’indennità di disoccupazione.
Di norma, se il lavoratore subordinato perde l’occupazione contro la propria volontà , ha diritto a ricevere la Naspi (Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego), vale a dire un’indennità di disoccupazione erogata dall’INPS. Per accedervi, il primo requisito da rispettare è indubbiamente lo stato di disoccupato e la dichiarazione dell’immediata disponibilità ad impegnarsi nuovamente in un altro percorso lavorativo nonché alle attività di politica attiva promosse dal centro per l’impiego. In aggiunta, lo stato di disoccupazione deve sopraggiungere contro la volontà dell’individuo, quindi per via di disposizioni adottate dal datore di lavoro.
Occorrono, infine, almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti per poter ricevere l’indennità . Stando a queste normative, le dimissioni avanzate dallo stesso lavoratore non rientrano tra le condizioni utili a ricevere la Naspi. Ma cosa cambia se sono dovute ad una condizione di malattia invalidante?
Naspi dopo le dimissioni per malattia: cosa dice la legge?
Trattandosi di un’indennità che sopraggiunge “in soccorso” del lavoratore quando la disoccupazione arriva involontariamente, la Naspi non viene riconosciuta in caso di dimissioni o risoluzione consensuale. Tuttavia, sono previste delle eccezioni se ci sono i presupposti per cui si verificano casi particolari di dimissioni o accordi consensuali di fine rapporto, come il rifiuto di trasferimento in una sede di lavoro distante oltre 50 km dalla propria residenza o raggiungibile con i mezzi di trasporto per un tempo non inferiore ad 80 minuti.
Si può ottenere la Naspi anche in seguito a dimissioni per giusta causa, come in presenza di comportamenti scorretti altrui che rendono impossibile continuare l’attività lavorativa; quando una lavoratrice madre si dimette nel periodo tutelato di maternità (tra i 300 giorni prima del presunto parto, fino al compimento del primo anno d’età del bambino); quando il lavoratore padre si dimette nel corso del primo anno di vita del figlio, purché abbia già goduto del congedo di paternità obbligatorio o del congedo di paternità alternativo (in caso di morte o grave infermità della madre, così come in caso di abbandono o affidamento esclusivo del bambino alla figura paterna).
Al contrario, se le dimissioni vengono avanzate per motivi di salute non è possibile accedere all’indennità di disoccupazione. Questo accade perché il licenziamento sopraggiunge per motivi volontari, dunque se ne perde il diritto. Invece, qualora fosse il datore di lavoro a licenziare il dipendente a causa della sua infermità (solo dopo aver constatato che non può essere reimpiegato in un’attività diversa all’interno dell’azienda), lui può ricevere la Naspi.